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Ascoltatevi la versione che più vi piace, poichè le tre, che seguono più sotto, sono tra le più belle che ne siano state mai eseguite od interpretate, a mio modesto parere.
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Nei due anni che vanno dalla primavera del 1859 alla
primavera del 1861, nacque, da un'Italia divisa in sette Stati, un nuovo regno:
il Regno d’Italia.
Il nostro paese, prima di quegli anni era costituito da un centro nord con tradizioni comunali e signorili, e un mezzogiorno con tradizioni monarchiche fortemente accentrate a Napoli.
Questo nuovo stato non aveva tradizioni politiche univoche, ma si basava su una nazione culturale di antiche origini che costituiva un forte elemento unitario in tutto il paese.
Ovviamente la musica, come espressione artistica,
ebbe una parte predominante in quella che già
era la nostra “coscienza nazionale”.
C’era, però, una musica dotta, che era quella delle opere liriche e dei melodrammi, e una altra destinata al popolo, di facile presa e assimilazione, che noi oggi chiamiamo canzoni.
Ma mentre la musica dotta si affidava ai dei letterati professionisti, i cosiddetti “librettisti”, per scrivere in versi la parte cantata, la musica popolare si serviva dei più umili “parolieri” .
Per ascoltare le canzoni, però, non si andava a teatro, ma venivano diffuse dai cantanti ambulanti e dai proprietari di pianini a cilindro ai passanti, che per pochi soldi, ti offrivano le “copielle”, ossia dei fogli volanti sui quali era stampato alla meglio i testi delle varie composizioni popolari.
C’era, però, una musica dotta, che era quella delle opere liriche e dei melodrammi, e una altra destinata al popolo, di facile presa e assimilazione, che noi oggi chiamiamo canzoni.
Ma mentre la musica dotta si affidava ai dei letterati professionisti, i cosiddetti “librettisti”, per scrivere in versi la parte cantata, la musica popolare si serviva dei più umili “parolieri” .
Per ascoltare le canzoni, però, non si andava a teatro, ma venivano diffuse dai cantanti ambulanti e dai proprietari di pianini a cilindro ai passanti, che per pochi soldi, ti offrivano le “copielle”, ossia dei fogli volanti sui quali era stampato alla meglio i testi delle varie composizioni popolari.
Fu proprio in quegli anni, importanti per l’Unità
d’Italia, che nacque a Napoli, Salvatore Di Giacomo (12 marzo 1860), considerato
da tutti il paroliere ante litteram
della canzone italiana.
Il padre era un medico e anche lui avrebbe voluto intraprendere la stessa carriera paterna, così, dopo aver seguito gli studi classici, si iscrisse alla facoltà di medicina e chirurgia, ma arrivò soltanto al terzo anno di università.
Poi contando sull’aiuto di un suo sincero amico Martino Cafiero, uno dei migliori giornalisti dell’epoca, venne assunto al “Corriere del Mattino”, cominciando così un brillante carriera da giornalista.
Il padre era un medico e anche lui avrebbe voluto intraprendere la stessa carriera paterna, così, dopo aver seguito gli studi classici, si iscrisse alla facoltà di medicina e chirurgia, ma arrivò soltanto al terzo anno di università.
Poi contando sull’aiuto di un suo sincero amico Martino Cafiero, uno dei migliori giornalisti dell’epoca, venne assunto al “Corriere del Mattino”, cominciando così un brillante carriera da giornalista.
L’anno di grazia di Di Giacomo paroliere è
indubbiamente il 1885. In quell’anno il poeta napoletano compose, tra le altre,
Oili Oilà, con la musica di
Mario Costa (che, però, era originario di Taranto), Era De Maggio, musicata sempre
dal Costa e la famosissima Marechiare, musicata dal
grande Francesco Paolo Tosti.
Pare che Di Giacomo avesse scritto quei versi senza
mai essere stato a Marechiaro.
Ci andò molto tempo dopo esclusivamente per accompagnarvi, come lui stesso raccontò, una studentessa di Cambridge:<< in un giorno di aprile, una piccola navicella a vela mi portò per la prima volta laggiù, su quei lidi che, senza conoscerli, avevo cantato e celebrato>>.
Così Di Giacomo si accorse che a Marechiaro c’era una trattoria, che c’era una civettuola finestra immersa nei garofani e che addirittura c’era una cameriera che si chiamava come la Carolina della sua canzone.
Ci andò molto tempo dopo esclusivamente per accompagnarvi, come lui stesso raccontò, una studentessa di Cambridge:<< in un giorno di aprile, una piccola navicella a vela mi portò per la prima volta laggiù, su quei lidi che, senza conoscerli, avevo cantato e celebrato>>.
Così Di Giacomo si accorse che a Marechiaro c’era una trattoria, che c’era una civettuola finestra immersa nei garofani e che addirittura c’era una cameriera che si chiamava come la Carolina della sua canzone.
L’oste, autore di tutta questa sceneggiata, si
avvicino premuroso agli avventori e, senza riconoscere Di Giacomo,
disse:<< un giorno il poeta venne qui a colazione, vide la
finestra, vide i garofani, vide Carolina e mise tutto nella
canzone>>. Di Giacomo esplose in una fragorosa
risata.
Fra le canzoni scritte dal maestro, Era
De Maggio, è quella che io
reputo in assoluto la più bella e la più struggente, e voglio proporvela nelle splendide
versioni eseguite:
da un altro napoletano doc, ossia Massimo Ranieri, qui:
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da un altro napoletano doc, ossia Massimo Ranieri, qui:
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Da Renzo arbore e dall'Orchestra Italiana, cioè qui:
http://www.youtube.com/watch?v=Vh5FeMUR7OM
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Ed, al mandolino e alla chitarra, dal mio amato Portale del Sud, cioè qui:
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http://www.ilportaledelsud.org/eradimaggio.htm
____________________________________ E questo è il testo della canzone:
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