'O paese d'o sole ...

'O paese d'o sole ...
"" Chist'è 'o paese d''o sole, chist'è 'o paese d''o mare, chist'è 'o paese addò tutt' 'e pparole, sò doce o sò amare, sò sempe parole d'ammore ... "" - (Cliccate sull'immagine per ascoltare questa meravigliosa canzone, interpretata dallo straordinario Bruno Venturini).

sabato 4 maggio 2013

La Piazza degli Artisti.

La Piazza degli Artisti.
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Piazza degli Artisti, nodo nevralgico dei collegamenti stradali dell’area, è il punto di intersezione tra Antignano e Arenella.

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Tra la piazza e via Giovanbattista Ruoppolo, la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini riprende nel titolo il tempio (di fondazione cinquecentesca) demolito tra il 1952 e il 1953, nel corso dei lavori di riqualificazione del rione Carità da cui provengono i dipinti di artisti toscani del XVI secolo – Marco Pino (1521-1583): Chiamata di Matteo, firmato e datato 1576, Annunciazione, Riposo durante la fuga in Egitto, Battesimo di Cristo; Giovanni Balducci (1560-post 1631): Nascita, Predicazione e Decollazione del Battista, L’angelo annuncia al sacerdote la nascita del Messia.

Al culmine della facciata, la statua di San Giovanni Battista di Alfredo Scotti.

Sulla via affaccia il Parco Marco Mascagna, intitolato nel 2005 al pediatra ambientalista protagonista della difesa di questo polmone verde minacciato dal progetto miope di un parcheggio sotterraneo.

Il giardino, parallelo a via Tino di Camaino, è il punto d’incontro del quartiere; tornei di carte sui tavoli sotto il portico, di bocce sul campo dedicato, partite di pallacanestro, giochi per i bambini, chiacchiere sulle panchine della piazzetta centrale, fontana a tessere colorate tra alberi e aiuole fiorite.

Da via Sant’Anna, dal nome della chiesa vicina (di inizio Novecento), si raggiunge in via Annella di Massimo (la vecchia via Vomero, che nel tratto verso via Cilea rende omaggio alla memoria di Gino Doria), al civico 9, il portale della villa di Giovanni Pontano (1429-1503), l’umanista ricordato nelle due targhe laterali, la più ‘recente’ apposta da Ferdinando I di Borbone.
 

In piazza Quattro Giornate, rinnovata per l’apertura della stazione omonima della linea 1 della metropolitana (2001, progettata da Domenico Orlacchio, quarantaquattro metri di altezza), la scultura metallica di Renato Barisani e i due bronzi di atleti di Lydia Cottone, nei giardini.

Le opere di artisti contemporanei all’interno della metro riprendono il tema della resistenza e del conflitto: i rilievi in bronzo e i dipinti di Nino Longobardi, le scene di caccia e i ‘guerrieri’ di Sergio Fermariello, la scultura in lamiera di alluminio accartocciata di Baldo Diodato, Sabe que la lucha es cruel di Anna Sargenti, le tre teche di Umberto Manzo fissate con travi in ferro, la fotografia di Betty Bee imprigionata in un light box, la tela di Maurizio Cannavacciuolo, le Combattenti di Marisa Albanese.

Lo stadio Arturo Collana, realizzato alla fine degli anni Venti del Novecento (Stadio Littorio in epoca fascista), è la struttura sportiva di riferimento della città fino alla costruzione dello stadio San Paolo a Fuorigrotta.

Completamente ristrutturato negli anni Settanta, diventa un centro sportivo polifunzionale per gare di atletica, partite di calcio e di rugby (ha ospitato incontri della Nazionale italiana), con palestre, pista di pattinaggio, tennis club e piscina, oltre a ospitare manifestazioni e iniziative sportive e non (compresi corsi di ballo).

Evoca il ricordo di vicende storiche cruciali, campo di prigionia, palcoscenico dei combattimenti tra partigiani napoletani e soldati tedeschi nel settembre 1943; la targa nella vicina via Belvedere, dove era la masseria Pagliarone, ricorda l’inizio delle ‘quattro giornate’ e i caduti negli scontri. Via Francesco Cilea, ad alta densità di traffico per lo svincolo della tangenziale, incrocia via Santa Maria della Libera e, in piazzetta Belvedere, la chiesa e il convento, ora scuola statale.

Dal principio, nel 1587, una vertenza prolungata con gli affidatari, i Domenicani della Sanità, provoca infine, nel 1601, la defezione del committente Annibale Cesareo a beneficio della chiesa di Santa Maria della Pazienza, non a caso conosciuta come Cesarea (Avvocata Montecalvario).
 
Danneggiato dai terremoti del 1930 e del 1980 (crollo della volta di copertura), l’edificio, restaurato nel 1991, conserva ancora elementi barocchi, altari con intarsi marmorei, frammenti della balaustra antica e dipinti tra fine Cinquecento e primo Settecento.

Malgrado se ne siano perse le tracce, siamo nel ‘Vomero vecchio’, aria salubre e terre coltivate.

A testimoniarlo agli increduli, la villa celebre di Ferdinand Vandeneynden, inglobata in edifici e costruzioni moderne, solo in parte conservata in Villa Belvedere.

Le strutture cinquecentesche della tenuta di frutteti e vigneti digradante verso Chiaja sono trasformate nel 1688 da Bonaventura Presti in una loggia a quattro arcate “per uso di belvedere” e, verso il Vomero, in dimora a sua volta loggiata, con un viale di cipressi.

I nuovi proprietari Carafa di Belvedere avviano, dal 1730, la trasformazione di fabbrica e giardini, fino al giardino pensile affacciato sul golfo.

Non lontano, calata San Francesco (dal nome del convento presso l’Arco Mirelli) conduce al corso Vittorio Emanuele e alla Riviera. Ritornando su via Cilea, nel tratto finale, ecco via Scarlatti e, perpendicolare, via Luca Giordano, l’arteria di riferimento per i collegamenti tra Vomero e Arenella.

La pedonalizzazione valorizza il corteo di esercizi commerciali variegati e le ‘bancarelle’ ordinate di libri, in contrappunto all’insediamento recente di un megastore di libri ed elettronica, dove esercitare la curiosità per i titoli più difficili da rintracciare nel mercato globale.

Alle costruzioni anonime recenti, fa eccezione, all’angolo con via Solimena, la residenza liberty (1910) che ha ospitato il pittore Giuseppe Casciaro (1861-1841), come recita la targa a sinistra dell’ingresso.

Superata piazza Medaglie d’oro, in direzione di via Niutta e piazza Muzii, la parte antica del rione ancora esibisce le stradine ripide e tortuose del villaggio dell’Arenella.

Sulla piazzetta, Santa Maria del Soccorso, fondata nel Seicento con il convento domenicano, fino alla costruzione di San Gennaro al Vomero è la chiesa parrocchiale dei due quartieri, ristrutturata nel Settecento e, in modo rilevante, tra Otto e Novecento.

La facciata mantiene la fisionomia settecentesca, con due orologi maiolicati nella parte superiore.

Nel piccolo largo opposto alla chiesa, la statua dell’Immacolata ha sostituito dal 1963 quella dedicata a Salvator Rosa – sistemata nel 1933 dove si riteneva fosse la casa natale dell’artista – ora al centro della piazza ‘moderna’.

Poco distante, all’inizio di via Giacinto Gigante, quasi a fronte della sezione municipale, la chiesa dell’Arciconfraternita di Santa Maria del Soccorso all’Arenella, sodalizio istituito nel 1704, con facciata di fine Settecento.

L’interno, rivisitato con stucchi e pitture tra Otto e Novecento, conserva dipinti e altari di fine Settecento e una statua della Madonna di Fatima, meta di pellegrinaggio dei fedeli; una cripta antica poco nota sfrutta una tra le cavità naturali numerose della zona.

Via Domenico Fontana sale verso la zona alta del quartiere (il cosiddetto Rione Alto), l’area più edificata dell’Arenella, dove più evidenti sono i guasti dell’edilizia inconsulta degli ultimi trenta anni sulla vocazione rurale e agricola del passato: i nuclei residenziali saturi di mura e abitanti – rifugio delle famiglie ‘giovani’ di fine millennio in cerca di case a costi accessibili – hanno quasi azzerato le piccole aree coltivate superstiti.

Alla tutela del verde residuo, paradossalmente, hanno provveduto i presidi ospedalieri: il Pascale (via Mariano Semmola), fondato da Giovanni Pascale (1859-1936, chirurgo oncologo, senatore dal 1919), dal 1936 specializzato nello studio e cura dei tumori; il Cardarelli (via Antonio Cardarelli), costituito tra 1927 e il 1940, intitolato dal 1943 a Antonio Cardarelli (1832-1927, clinico di fama, senatore dal 1896), la struttura più grande e attrezzata del Meridione, fondamentale il ‘pronto soccorso’; il Policlinico (via Sergio Pansini), su progetto coordinato da Carlo Cocchia (1953-1971), intreccio razionale di funzione ospedaliera e attività universitaria di ricerca e innovazione; il Cotugno (via Gaetano Quagliariello), Domenico Cotugno (1736-1822, anatomista, chirurgo e igienista all’avanguardia nella profilassi delle malattie infettive), specializzato nella cura delle malattie infettive, fondato nel 1884, ricostruito nel 1955-1958 (progetto di Giulio De Luca); il Monaldi, infine (via Leonardo Bianchi), ex Sanatorio principe di Piemonte intitolato dopo la morte (1969) al fisiologo Vincenzo Monaldi, specializzato nella cura delle malattie infettive, polmonari e cardiochirurgiche.
 
Via Ignazio di Loyola procede ancora fino ai Camaldoli, promontorio di boschi presidiato dall’Eremo dei monaci Camaldolesi. Dal belvedere, nel punto più elevato del territorio cittadino (458 metri) il panorama dall’alto già decantato per la collina di San Martino, con minori suggestioni storico-urbanistiche e maggiore ampiezza.

La denominazione ‘Salvatore a Prospetto’, con la quale era nota l’area, riporta la leggenda di una grotta dedicata da san Gaudioso al culto del Salvatore, attraverso la fondazione di una piccola chiesa. Soppressa, nel 1585, quando Giovanni d’Avalos e Maria d’Aragona, figlia del re Ferrante d’Aragona, destinano il suolo ai monaci Camaldolesi.

Il complesso viene ampliato nel corso del XVII secolo e la chiesa, dedicata a Santa Maria Scala Coeli a ricordo della scala celeste percorsa dal patriarca Romualdo per ascendere al paradiso, restaurata nel 1792 da Michelangelo Troccoli.

Nel 1962 alla Congregazione dei Camaldolesi di Montecorona subentrano i confratelli di Toscana, e, infine, le suore dell’ordine di Santa Brigida.

Tutto intorno, il Parco dei Camaldoli ha un’estensione di centotrentasette ettari: inaugurato nel 1996, con la sua superficie boschiva continua di castagni, lecci e macchia mediterranea, tra sentieri sospesi sul panorama, rappresenta un polmone inestimabile e l’antidoto all’aggressione del cemento e del traffico che si arresta ai suoi confini.

Percorrendo, a seguire, via Guantai Nuovi all’Orsolone, siamo ai Colli Aminei, al limite con il quartiere San Carlo all’Arena, meta di villeggiatura fino agli anni Trenta del Novecento. Aminea era una varietà di vite molto diffusa, da Capodimonte a Posillipo, origine di un vino noto e apprezzato già in epoca romana.

Un’ebbrezza che non c’è più.
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